mercoledì 8 ottobre 2014

La Bussola del Romanticismo: l'Io

Come l’Illuminismo nacque e prosperò in un periodo florido, di invenzioni, di scoperte, di rivoluzioni in tutti i campi scientifici a quel tempo conosciuti, così il Romanticismo, visto dai più conservatori come un rigetto tumorale del secolo precedente, data l’avversione dei romantici nei confronti della Ragione come elemento fondamentale per il progresso e la predilezione delle emozioni come guida nella vita, attinse la sua forza dalle rivoluzioni risorgimentali, nelle quali il ferro e il sangue, l’eroismo e la paura facevano da padroni. Ma fu un periodo buio il Romanticismo? Si può definire il “Medioevo dell’età contemporanea”? Certo che no! È stato il movimento che più ha condizionato positivamente il nostro presente in maniera permanente. Infatti grazie al Romanticismo conosciamo la vera importanza dell’Individuo; ogni uomo trae forza dal proprio Io e solo grazie a ciò può esprimere la propria diversità rispetto agli altri per avere la possibilità di elevarsi ed essere una persona migliore. Come afferma lo stesso filosofo ginevrino Rousseau <<Non sono fatto come nessuno di quelli che ho incontrati; oso credere di non essere come nessuno di quanti esistono(!).>>, nasce così una sorta di individualismo positivo, cioè una nuova concezione della diversità e unicità di ogni essere, infatti ogni individuo è tesoro di nuove conoscenze che possono essere esplorate e apprese tramite il confronto con l’Io che ogni uomo possiede.

Ma come in ogni movimento si arriva sempre all’eccesso, c’è sempre qualche filosofo o autore di ogni corrente di pensiero che esaspera i propri ideali, rasentando la follia e rappresentando così la stessa fine del movimento di cui faceva parte. Come infatti la rivoluzione francese, il sunto di tutto il pensiero illuminista, portò alla disfatta del periodo dei Lumi, così l’importanza dell’Io fece decadere il Romanticismo (anche se lo rese famoso proprio questo suo aspetto). Scrive Mario Puppo <<… si è presto esasperata in una forma di sfrenato soggettivismo: la storia spirituale dell’Ottocento è in gran parte la storia di questa avventura dell’Io individuale posto al centro dell’universo, fatto misura e origine di ogni valore e scoprentesi sempre più povero e miserabile a mano a mano che si liberava da ogni limite esterno, fino all’esaurimento, alla stanchezza, alla nausea di se stesso…>>, i romantici vollero superare i limiti della Ragione, oltrepassare quelle “Colonne d’Ercole” che il Settecento aveva posto, per cercare di approdare verso il monte dell’ultraterreno, dell’infinito e del vero e puro desiderio, ma come fu per l’Ulisse narrato da Dante nell’Inferno, anche i Romantici vennero risucchiati in un vortice fatto di emozioni negative come la Rassegnazione, l’Ironia e infine la Noia.


Dalla letteratura alla pittura, tutte le arti vennero in qualche modo a contatto con questi tipi di sentimenti ed emozioni che rappresentarono per queste un periodo prolifico di opere scritte e capolavori artistici. L’esempio più conosciuto della pittura Ottocentesca, che mostra più di tutti le caratteristiche romantiche, è il dipinto “Viandante nel mare di nebbia”, opera di Friedrich . In questo quadro si riesce a carpire la vera essenza dell’Individualità (il soggetto, da solo su un promontorio roccioso), ma nel contempo chi osserva il quadro protende l’occhio verso quella massa indefinita (la nebbia) che il soggetto stesso del quadro sta mirando, lì è situato il più grande desiderio dell’uomo romantico, lì vi è riposto l’Infinito inarrivabile. Sì, l’Infinito, cioè il Tutto e il Completo, quella Perfezione che tutti i più grandi pensatori romantici desideravano e che volevano coincidesse con il loro Io, affinché, tramite quella completezza, potessero realizzare il mito del Genio assoluto, colui che avrebbe predominato su tutte le arti solo grazie alle proprie sole capacità.

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