Come l’Illuminismo
nacque e prosperò in un periodo florido, di invenzioni, di scoperte, di
rivoluzioni in tutti i campi scientifici a quel tempo conosciuti, così il
Romanticismo, visto dai più conservatori come un rigetto tumorale del secolo
precedente, data l’avversione dei romantici nei confronti della Ragione come
elemento fondamentale per il progresso e la predilezione delle emozioni come
guida nella vita, attinse la sua forza dalle rivoluzioni risorgimentali, nelle
quali il ferro e il sangue, l’eroismo e la paura facevano da padroni. Ma fu un
periodo buio il Romanticismo? Si può definire il “Medioevo dell’età
contemporanea”? Certo che no! È stato il movimento che più ha condizionato positivamente
il nostro presente in maniera permanente. Infatti grazie al Romanticismo
conosciamo la vera importanza dell’Individuo; ogni uomo trae forza dal proprio
Io e solo grazie a ciò può esprimere la propria diversità rispetto agli altri
per avere la possibilità di elevarsi ed essere una persona migliore. Come
afferma lo stesso filosofo ginevrino Rousseau <<Non sono fatto come
nessuno di quelli che ho incontrati; oso credere di non essere come nessuno di
quanti esistono(!).>>, nasce così una sorta di individualismo positivo, cioè una
nuova concezione della diversità e unicità di ogni essere, infatti ogni
individuo è tesoro di nuove conoscenze che possono essere esplorate e apprese
tramite il confronto con l’Io che ogni uomo possiede.
Ma come in ogni
movimento si arriva sempre all’eccesso, c’è sempre qualche filosofo o autore di
ogni corrente di pensiero che esaspera i propri ideali, rasentando la follia e
rappresentando così la stessa fine del movimento di cui faceva parte. Come
infatti la rivoluzione francese, il sunto di tutto il pensiero illuminista,
portò alla disfatta del periodo dei Lumi, così l’importanza dell’Io fece
decadere il Romanticismo (anche se lo rese famoso proprio questo suo aspetto).
Scrive Mario Puppo <<… si è presto esasperata in una forma di sfrenato
soggettivismo: la storia spirituale dell’Ottocento è in gran parte la storia di
questa avventura dell’Io individuale posto al centro dell’universo, fatto
misura e origine di ogni valore e scoprentesi sempre più povero e miserabile a
mano a mano che si liberava da ogni limite esterno, fino all’esaurimento, alla
stanchezza, alla nausea di se stesso…>>, i romantici vollero
superare i limiti della Ragione, oltrepassare quelle “Colonne d’Ercole” che il
Settecento aveva posto, per cercare di approdare verso il monte
dell’ultraterreno, dell’infinito e del vero e puro desiderio, ma come fu per
l’Ulisse narrato da Dante nell’Inferno, anche i Romantici vennero risucchiati
in un vortice fatto di emozioni negative come la Rassegnazione, l’Ironia e
infine la Noia.
Dalla letteratura alla
pittura, tutte le arti vennero in qualche modo a contatto con questi tipi di
sentimenti ed emozioni che rappresentarono per queste un periodo prolifico di
opere scritte e capolavori artistici. L’esempio più conosciuto della pittura Ottocentesca,
che mostra più di tutti le caratteristiche romantiche, è il dipinto “Viandante
nel mare di nebbia”, opera di Friedrich . In questo quadro si riesce a carpire
la vera essenza dell’Individualità (il soggetto, da solo su un promontorio
roccioso), ma nel contempo chi osserva il quadro protende l’occhio verso quella
massa indefinita (la nebbia) che il soggetto stesso del quadro sta mirando, lì
è situato il più grande desiderio dell’uomo romantico, lì vi è riposto l’Infinito
inarrivabile. Sì, l’Infinito, cioè il Tutto e il Completo, quella Perfezione
che tutti i più grandi pensatori romantici desideravano e che volevano
coincidesse con il loro Io, affinché, tramite quella completezza, potessero
realizzare il mito del Genio assoluto, colui che avrebbe predominato su tutte le
arti solo grazie alle proprie sole capacità.
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